Durante il processo presso la corte d’assise di Salerno, è emerso che l’applicazione per il monitoraggio delle telecamere installate nella residenza di Curticelle di Giffoni Valle Piana era presente esclusivamente sul cellulare di Ciro Palmieri, il capofamiglia assassinato due anni fa dai suoi stessi familiari. Questa circostanza è stata chiarita dal consulente incaricato della perizia sui dispositivi mobili dei familiari di Palmieri e sul telefono della vittima, durante il procedimento legale che vede imputati per omicidio la moglie Monica Milite, 45 anni, e il figlio diciottenne Massimiliano.
In udienze precedenti, la madre e la sorella di Monica Milite hanno confermato quanto dichiarato nelle prime testimonianze: Monica aveva raccontato ripetutamente degli atti violenti subiti dal marito Ciro, 43 anni, originario del quartiere Carmine a Salerno. Le due donne hanno dichiarato di non aver avuto contatti significativi con Monica Milite e i nipoti per circa sette anni, rivelando anche una certa distanza nei confronti di Ciro Palmieri. I rapporti sono stati ripresi nel 2021 e sono diventati costanti nel tempo: dopo la riconciliazione, Monica Milite aveva raccontato loro delle violenze subite dal marito, ma le due donne non avevano mai assistito personalmente a tali episodi.
Il processo cerca di chiarire l’ambiente familiare in cui si è verificato l’omicidio, seguito dalla mutilazione del cadavere e dal suo abbandono in una remota zona montuosa dei Picentini. Il corpo è stato ritrovato dai carabinieri circa un mese dopo il delitto. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Francesco Saverio D’Ambrosio e Antonietta Cennamo, mentre il figlio minorenne è già stato processato con rito abbreviato e condannato a 16 anni di reclusione dal tribunale per i minori. I familiari di Palmieri si sono costituiti parte civile, assistiti dall’avvocato Rocco Pinto, insieme all’altro figlio minore della coppia, non coinvolto nell’incidente, rappresentato dal curatore speciale Francesco Siniscalchi.